Antico maniero medievale, sorto come avamposto per il presidio del territorio dei Conti d'Arco, il castello si trova sulle pendici del Monte San Martino, in posizione sovrastante ai paesi limitrofi e domina la piana di Bleggio sottostante.
Il disegno allegato ad un urbario compilato nel 1793 raffigura Castel Restor come una robusta torre merlata alla ghibellina, difesa da una cinta muraria e bastionata che coronava la sommità del dosso. Era preceduta da un rivellino e da uno spazio aperto dove si trovava il "barco". Il portale d'ingresso guardava a oriente e una finestrella, a sinistra, in alto, a feritoia, lo proteggeva. Gli attuali ruderi di granito confermano l'impianto settecentesco, il quale, pur nelle modificazioni subite nei secoli, si rifà alle strutture medioevali. Il castello era al centro di un paesaggio agroforestale. Una raggiera di campi lunghi e stretti rigavano la collina e la Selva nera completava il quadro. La campagna era tenuta a cereali, viti, gelsi, alberi da frutto.
Il castello è menzionato per la prima volta nel 1256, al tempo in cui il Principato Vescovile era travagliato dalle pressioni di conquista delle due potenti signorie contermini, dei da Tirolo e dei Dalla Scala di Verona. La ribellione antivescovile serpeggiò anche nel Banale e nel Lomaso con atti di violenza contro i Bleggiani rimasti fedeli al Vescovo. Come avvenne per il Castel Spine, della comunità lomasina, la genesi di Restor va ricercata in una difesa esterna delle popolazioni locali, vessate dai signorotti feudali.
Il 2 gennaio del 1265, il Principe Vescovo Egnone di Appiano donava, infatti, a Federico d'Arco il dosso, detto il "dosso o Verruca della Vedova", sul quale sorse o risorse Castel Restor. Federico era riuscito a domare la ribellione ghibellina, a carattere antivescovile, provocata in Giudicarie dai Conti del Tirolo, dai da Campo e dai Lodron. Fu, appunto, per premiare la fedeltà dei Bleggiani, che il P. V. Egnone di Appiano (1247-1273) permise a Federico d'Arco di erigere la rocca a presidio della pace e gli diede l'investitura vescovile con la cerimonia del cappuccio. Ai patti soliti si aggiungeva l'obbligo di provvedere alla protezione delle genti e dei beni della comunità del Bleggio. Dal Restor i d'Arco e i suoi successori dovevano proteggere il Bleggio contro le aggressioni nemiche e, in caso di pericolo, gli abitanti della Pieve avevano il diritto di rifugiarsi nel castello con i loro averi. Sarebbe, dunque, stato Federico d’Arco a erigere la formidabile torre di granito che ancora ammiriamo. Secondo qualche storico contemporaneo essa sarebbe sorta sull'area di un precedente "castello rurale tolto ai rivoltosi". Il documento d'infeudazione di "Arx Restauri" (Rocca del Restor), è segno evidente che una fortificazione della Vicinia esisteva già nel Medioevo e che, prima ancora, in epoca romana, come dice il toponimo "Arx" (rocca) e il ritrovamento di parecchie monete ed altri oggetti antichi, una moneta dell'imperatore Claudio (41-54 d.C.).
Si suppone che il castello avesse tre cinte di mura, anche se finora nessun reperto ha dimostrato questa teoria, e che tra la prima e la terza c'era posto per parecchie persone con bestiame, masserizie e cose personali, capanne e casupole di fortuna. Esiste tuttora la carrareccia, che sale tortuosa al castello, segnata in un disegno del 1793. All'imbocco c'è ancora lo zoccolo in granito con la lamina in ferro che reggeva la croce in legno ora scomparsa. Il "barco", rustico per i cavalli, con locale annesso per il custode, che negli anni trenta serviva da stalla ai fittavoli del colle, è attualmente in rovina. Una breccia enorme si trova al posto della porta d'ingresso, con rovine consistenti a destra e a sinistra. Ai fianchi dei grossi muri vi sono le basi di piccoli edifici, ma robusti, torrette agli angoli dell'edificio.
La torre quadrata, il mastìo, ultimo baluardo di resistenza, alta 17 m., in pezzi squadrati di granito, con una porticina curvilinea a 7 m. dal suolo, resiste ancora. Sopra la porticina in calcare bianco, qualche metro più in alto, c'è una finestra che serviva da piombatoio per la difesa della torre, ora completamente vuota, senza pianerottoli e scale, con i resti dei merli ghibellini, a coda di rondine. Ad altezza d'uomo feritoie, che servivano per colpire con frecce, lance e, più tardi, con l'archibugio, gli assalitori. All'esterno della torre, sul fianco nord i resti del pozzo del maniero, sul fianco est la porta. Per abbeverare i cavalli e per le pulizie si attingeva al vicino rio. Della cinta muraria, intervallata da uno spazio di circa tre m. attorno all'edificio, esistono tracce a sud-est e a sud-ovest. È presumibile che ci sia stata una seconda cortina, evidenziata dal muro, che fiancheggia la strada d'accesso nella parte alta.
Il palazzo-fortezza del Restor aveva 9 vani, tra i quali erano compresi la camera del capitano del castello, la sala, la cucina e il deposito delle munizioni. Mancavano gli oggetti di lusso e dell'inventario degli arredi e degli attrezzi, si ricava un'idea sommaria d'un piccolo castello di montagna, più che altro una grossa fattoria, che non ha nulla del lusso del castello feudale, se non le lenzuola del letto che a quei tempi erano ancora una rarità.
I lavori di scavo (iniziati nel 1999) e di restauro, condotti successivamente, hanno portato a identificare le diverse fasi costruttive della struttura. Il nucleo più antico era costituito dalla già citata cinta muraria e da un ridotto poligonale entro cui sono stati trovati i resti della domus, ricordata nel documento del 1265. Questa struttura era caratterizzata da tre ambienti, posti lungo la parete interna orientale del ridotto, affacciati davanti a una corte, occupata ora dal mastio. La torre, alta 17 metri, fu eretta successivamente, forse all’inizio del XV secolo, ed è caratterizzata da vani interni sottodimensionati (2 x 2 m), che hanno portato a ipotizzare una funzione meramente simbolica per la struttura.
I d’Arco, attraverso la mole della torre, visibile a lunga distanza, potrebbero aver voluto rendere evidente il potere esercitato sul territorio circostante. Negli stessi anni fu potenziato il circuito murario del ridotto, edificando una scarpa imponente sui lati est e sud (il lato nord è lacunoso di dati). Alla metà del Quattrocento il complesso fu trasformato, attorno al dosso venne innalzato un alto muro perimetrale – che in alcune sezioni ricalca la cinta precedente – e furono aggiunti numerosi ambienti, articolati su piani diversi.
Tra le nuove strutture furono realizzati una cisterna, dei vani domestici e spazi dove lavorare e conservare i prodotti agricoli. Si ricordano una cantina, dei magazzini, un vano dotato di torchio e uno di macina per la pilatura di grano, orzo e miglio. La fortificazione quindi, diversamente da altri castelli del Trentino, non migliorò le sue caratteristiche residenziali per essere trasformata in una sede nobiliare, ma si specializzò come centro direzionale, di gestione economica, finalizzato alla lavorazione e allo stoccaggio delle derrate raccolte nelle terre circostanti.
Il castello era abitato dai Conti solo in tempo di guerra o di caccia, abitualmente era comandato da un capitano dei d'Arco, serviva da presidio militare per il dominio del Bleggio e per il controllo delle strade del Passo del Durone, del Ballino e di Stenico, per la raccolta delle decime e per l'amministrazione della giustizia. Castel Restor divenne un caposaldo degli Arco all'interno delle Giudicarie, le quali erano considerate delle vere e proprie colonie da cui attingere uomini e mezzi per le loro imprese belliche.
Subì la stessa sorte di Spine al tempo della spedizione tirolese del Duca di Teck (1348), che per ordine di Ludovico di Brandeburgo, duca del Tirolo, penetrò con i suoi soldati nelle Giudicarie e distrusse i castelli di Spine e Restor per punire gli Arco che commisero delitti e angherie d'ogni sorta nelle Pievi di Lomaso e Bleggio a carico di presunti amici e fautori di Graziadeo da Campo, loro nemico. Ma una volta restituito ai suoi proprietari, e rimesso, in sesto, diviene uno dei gangli di potere nelle Giudicarie dei d'Arco. Nell'ultimo decennio del '300 fu preso d'assalto da Pietro di Lodron, che riuscì a scalarne le mura, senza peraltro tramandarnegli esiti materiali, si trattò di un episodio effimero politicamente. Trascorsi i tempi ruggenti e precisatasi la funzione dei d'Arco in valle, Restor divenne un polo feudale di conduzione agricola.
Nel 1439 nella guerra fra Milano e Venezia, Galeazzo d'Arco e il suo capitano ostacolarono l'avanzata delle truppe venete comandate da Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, al Passo del Durone. Lo scontro non fu lungo e durante la notte il Gattamelata riuscì a marciare su Tenno occupandone il castello.
Il Castel Restor fu distrutto e ricostruito più volte, lasciando però ciò che rimaneva delle strutture medievali, ma quando la crisi del feudalesimo e l'impiego della polvere pirica vanificarono l'importanza dei castelli, a volte distanti degli abitati, scomodi e poco funzionali i d'Arco abbandonarono il maniero alla fine del '700, andò in rovina e servì come cava di sassi per i paesi vicini.
Ora in proprietà del Comune di Comano Terme, che ha curato il disgaggio, il consolidamento della torre e delle mura e ha apprestato il sentiero di visita.